mercoledì 30 gennaio 2019

Istruzioni per opporsi agli odiatori della rete - La mia testimonianza

Lo so, lo so, questo processo vi mancava. Ne avevo infatti parlato soltanto con poche persone, perché gli davo un'importanza secondaria rispetto alla vicenda giudiziaria che mi stava coinvolgendo in ambito lavorativo.

Pagina pubblica Il Centro - 7 ottobre 2014
Tutto nacque poco più di quattro anni fa, quando l'allora Ministro degli Interni Angelino Alfano pensò bene di diffondere una circolare contro l'istituzione, da parte dei Comuni, dei registri di trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all'estero. 

Si crearono subito due schieramenti opposti, e molti Sindaci presero posizione contro o a favore di questa mossa politica. Fu il caso del primo cittadino di Chieti, Umberto Di Primio, il quale, sottolineando come a parere suo il matrimonio fosse un istituto possibile soltanto tramite l'unione di un uomo con una donna, decise di appoggiare pubblicamente il Ministro Alfano.

Il quotidiano locale Il Centro riportò la notizia, dandole risalto anche sulla pagina pubblica su Facebook, e fu, come spesso accade quando si parla di questi temi, un moltiplicarsi di insulti gratuiti e ingiustificati alle persone LGBT e ai Sindaci che in quel momento cercavano di ovviare al vuoto legislativo con la suddetta trascrizione.

Mio malgrado, mi trovai a leggere l'articolo e i relativi commenti di odio. Alcuni si limitavano a sottolineare la contrarietà per la parità di diritti delle persone lgbt; altri, più audaci, si spingevano ben oltre, paragonando l'omosessualità ad una malattia, ad una devianza o, ancor peggio, ad una forma di perversione. Finché i commenti si rivolgevano in modo generico alla comunità LGBT, io ed altre persone rispondevamo ai loro autori facendo presente che il riconoscimento dei diritti civili non avrebbe tolto nulla alla vita delle persone eterosessuali e, nel peggiore dei casi, sottolineavamo l'intento omofobico di certi commenti.
Alcuni commenti riportati dalla polizia postale di Bologna.

Arrivò, poi, il momento in cui qualcuno si permise di insultare personalmente me e anche altri utenti di Facebook. 

Decisi di sporgere querela, che presentai in Procura, a Bologna, tramite legale (è possibile farlo anche autonomamente), il giorno 22 Ottobre  2014.

Nell'atto di denuncia/querela contro ignoti allegai le schermate della pagina Facebook, con i commenti che ritenevo diffamatori della mia reputazione.

Iniziò, così, l'indagine della polizia postale di Bologna, che risalì, tramite incroci di dati con quelli dell'anagrafe, ad alcuni autori di quei commenti.

Il carabiniere torinese indagato. 

Non posso non rilevare che una di quelle persone che rispondevano volgarmente e con toni offensivi agli altri utenti di Facebook intervenuti nella discussione virtuale appartenesse (o fosse appartenuto) all'Arma dei Carabinieri.
Nella mia visione utopica del mondo, mi piacerebbe che un uomo delle Forze dell'Ordine venisse quantomeno avvertito e possibilmente formato su come ci si dovrebbe comportare su una piattaforma con pubblica visibilità, quale era in quel momento la pagina Facebook del quotidiano abruzzese Il Centro, ma purtroppo non è stato così, almeno in questa circostanza.

Trasferimento per competenza






Svolte le indagini del caso, la Procura di Bologna, avendo osservato che gli autori dei commenti potenzialmente diffamatori provenissero da profili Facebook di persone residenti in altre città, trasmise gli atti alle Procure di competenza.

Nel caso specifico, alle Procure di Pescara, di Ivrea e di Latina, proprio in ragione del domicilio delle persone indagate.









Decreto di citazione dell'imputato
Arrivati gli atti presso le Procure di competenza, soltanto in quella di Pescara si ritenne di dover procedere nei confronti di uno degli indagati che, a quel punto, diventò imputato del processo penale, in cui ero parte offesa.

Avrei potuto costituirmi, tramite legale di fiducia, parte civile del processo nella prima udienza, così da avere l'opportunità di chiedere un eventuale risarcimento economico all'esito della causa.

La mia scelta, dettata anche dal periodo non proprio felice per via della mia condizione lavorativa precaria, fu di rimanere fuori dal processo, osservando dall'esterno come persona offesa, senza poter intervenire.



Sentenza n. 3473/18



Il processo nei confronti dell'imputato pescarese andò avanti: venni chiamato a testimoniare dal giudice, dott.ssa Laura D'Arcangelo,  la quale mi invitò a leggere in pubblica udienza le offese ricevute. Fu ascoltato anche il Referente della polizia postale di Bologna che svolse le indagini, il quale confermò quello che era già agli atti.

L'ultima udienza ci fu il 14 Novembre 2018 mattina, e già poche ore dopo il Giudice diede lettura della sentenza, rinviando per le motivazioni.






Uno stralcio della sentenza. 


Come si legge nelle motivazioni della sentenza n. 3473/18 depositata il 25 Gennaio 2019 dal Giudice Laura D'Arcangelo, pur essendo diffamatorio nei miei confronti il contenuto del capo di imputazione, confermato anche dal poliziotto che ha svolto le indagini da Bologna, è emerso che il commento, risultando di particolare tenuità, non è punibile, ai sensi dell'articolo 131 bis c.p..






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Le motivazioni della sentenza
Cosa comporta questa sentenza di assoluzione per l'imputato?

Allora, innanzi tutto il Giudice ha riconosciuto l'esistenza del reato, e dunque un eventuale procedimento in sede civile per chiedere i danni di quella diffamazione potrebbe essere senz'altro supportato da questa sentenza.

Altra cosa fastidiosa per l'imputato è il fatto che, pur essendo stato assolto, non potrà più, in futuro, usufruire dell'articolo 131 bis c.p., che lo ha assolto non perché il fatto non sussista o non costituisca reato, bensì perché il reato è di particolare tenuità e perché è incensurato.

Sarà, infatti, segnalato per dieci anni in eventuali futuri procedimenti penali, e a quel punto risulterà un precedente da tenere in considerazione.


A conclusione di questo processo, posso ritenermi soddisfatto perché sono sicuro che l'imputato, seppur assolto per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p., ci penserà non una, non due, ma mille volte prima di ripetere l'errore di insultare sui social network qualcuno che non conosce, per due motivi:

- in primo luogo perché ha dovuto sostenere economicamente un processo penale che lo ha visto imputato (e non è un costo banale);

- in secondo luogo, se questa volta ha avuto la fortuna di poter usufruire dell'articolo 131 bis c.p., la prossima volta dovrà scontare la pena, costituendo questa sentenza un precedente.

A chi dovesse subire insulti virtuali e fosse così ostinatamente ossessionato dalle battaglie di principio, come me, mi sento di consigliare di scrivere autonomamente una denuncia/querela, raccontando i fatti, descrivendo le circostanze, e producendo le prove, anche senza il supporto di un legale, che ha un costo, e attendere. Al 99% non succederà nulla, ma c'è l'1% delle probabilità che la querela vada avanti e si tramuti in indagine e poi in processo, disincentivando certamente gli odiatori della rete nella loro vigliacca missione. 

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